Errata vertebroplastica

In un caso trattato, una paziente che aveva riportato un trauma vertebrale ed era stata operata con vertebroplastica, riportava danni per l’errata indicazione della procedura chirurgica prescelta e per l’esecuzione della stessa, ottenendo il risarcimento dei danni patiti in nesso di causa con tali errori.

La vertebroplastica percutanea è una procedura di radiologia interventistica con la quale vengono trattate le fratture vertebrali patologiche, attraverso l’iniezione di un “cemento” biocompatibile nel corpo della vertebra.

Secondo quanto i dati di letteratura, questa procedura è indicata per trattare fratture vertebrali dovute ad un tumore primitivo o metastatico, ad osteoporosi o ad angiomi con sintomatologia dolorosa resistente alla terapia tradizionale.

Tale tecnica non sarebbe, invece, indicata per le fratture traumatiche, negli schiacciamenti vertebrali di vecchia data o nelle fratture in cui vi sia il sospetto di infezione (osteomielite).

La tecnica consiste nell’iniezione, in anestesia locale, di pochi millilitri di polimetilmetacrilato (PMMA), attraverso l’introduzione di uno speciale ago metallico nel corpo della vertebra da trattare sotto la guida della TC o della fluoroscopia.

Questo cemento, consolidandosi, determina la scomparsa del dolore mediante stabilizzazione della vertebra fratturata.

Secondo i rilievi di Letteratura, è possibile che si verifichino piccoli spandimenti di cemento all’esterno del corpo vertebrale e, in casi rari, anche all’interno del canale vertebrale. In circa il 3% dei casi si può avere una riacutizzazione temporanea del dolore per interessamento delle strutture radicolari. Le complicanze gravi legate alla procedura sono rare (<0,1%) e consistono principalmente nell’embolia polmonare a causa di migrazione del cemento nei vasi polmonari e nella compressione midollare da migrazione del cemento nel canale vertebrale.

La maggior parte di queste complicanze è dovuta a un centraggio imperfetto della vertebra da trattare, sotto la guida della sola fluoroscopia.

Per questo motivo attualmente si preferisce associare alla guida fluoroscopica degli aghi anche la TAC, che permette la visione delle vertebre in tutte le loro sezioni.

Considerando inadeguata la scelta terapeutica effettuata (indi la vertebroplastica), si sarebbe dovuto eseguire in alternativa, secondo i consulenti nominati nel caso in esame, un intervento di:

1/ cifoplastica: impiegata nei pazienti affetti da fratture vertebrali osteoporotiche dolorose, eseguita inserendo un catetere a palloncino o un dilatatore meccanico in polimero nel corpo vertebrale attraverso una cannula metallica di maggiori dimensioni (generalmente 8G); viene quindi dilatato il corpo vertebrale nell’intento di ristabilirne la normale altezza; al termine viene quindi iniettato il cemento per consolidare e stabilizzare la frattura; anche la Cifoplastica è considerata una procedura minimamente invasiva che può essere eseguita in anestesia locale; è richiesto un solo giorno di ospedalizzazione quindi i pazienti possono ritornare immediatamente a svolgere le normali attività della vita quotidiana;

2/ immobilizzazione: a mezzo tutore C35 od altro analogo presidio ortopedico da utilizzare per un periodo adeguato.

Tenuto conto della riacutizzazione del dolore, dopo la procedura di vetrebroplastica, svolti gli opportuni controlli, i sanitari successivamente consultati rilevavano la presenza di cemento extravertebrale, in sede della procedura chirurgica a danni della paziente.

Ciò condizionava un quadro menomativo – sostanzialmente di carattere algico/disfunzionale – ben maggiore di quello che si sarebbe verificato in ipotesi di diverso trattamento e certamente maggiore di quello che si sarebbe esitato in caso di procedura eseguita correttamente.

Indi per cui alla paziente veniva riconosciuto il giusto risarcimento dei danni patiti, con riconoscimento del maggior danno differenziale esitato, della inabilità temporanea e delle spese mediche sostenute, ritenuti in nesso causale con gli errori evidenziati dai periti dell’Ufficio.

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