Il medico deve informare la gestante delle possibili malformazioni del feto
L’accertamento di processi patologici che possono provocare, con apprezzabile grado di probabilità, rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, consente il ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. b) della L. 22 maggio 1978 n. 194, laddove determini nella gestante, che sia stata compiutamente informata dei rischi, un grave pericolo per la sua salute fisica o psichica, da accertarsi in concreto e caso per caso, e ciò a prescindere dalla circostanza che l’anomalia o la malformazione si sia già prodotta e risulti strumentalmente o clinicamente accertata.
Il medico che non informi correttamente e compiutamente la gestante dei rischi di malformazioni fetali correlate a una patologia dalla medesima contratta può essere chiamato a risarcire i danni conseguiti alla mancata interruzione della gravidanza alla quale la donna dimostri che sarebbe ricorsa a fronte di un grave pregiudizio per la sua salute fisica o psichica.
Nella sentenza in esame, la Suprema Corte estende la possibilità di praticare l’interruzione volontaria della gravidanza al caso in cui la gestante sia consapevole, durante la gravidanza medesima, di aver contratto una patologia atta a produrre, con apprezzabile grado di probabilità, anomalie o malformazioni del feto.
La Corte, pertanto, con la pronuncia n. 653/2021, intende dare soluzione al seguente quesito: se, al fine di praticare l’interruzione volontaria della gravidanza dopo i novanta giorni, siano rilevanti solamente i processi patologici già esitati in accertate anomalie o malformazioni del feto, oppure anche i processi patologici che possano determinare (con alta probabilità) tali anomalie o malformazioni, idonee ad innescare un processo patologico potenzialmente nocivo per il nascituro ed a provocare un grave pregiudizio per la salute della donna.
Per praticare l’aborto terapeutico, secondo la Suprema Corte di cassazione “non vi è necessità che l’anomalia o la malformazione si sia già prodotta e risulti strumentalmente o clinicamente accertata”, essendo sufficiente che la gestante “sappia di aver contratto una patologia atta a produrre, con apprezzabile grado di probabilità, anomalie o malformazioni del feto”.
Una simile condizione – della quale il medico è tenuto informare la gestante a pena di risarcimento del danno – è, di per sé, in grado di produrre quel “grave pericolo per la sua salute fisica o psichica“, da accertarsi in concreto, che consente l’interruzione oltre i termini massimi di legge (90 giorni).
Infatti l’interruzione volontaria della gravidanza può essere praticata “quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.
Tra i processi patologici che possono determinare il grave pericolo per la salute della donna debbono comprendersi anche quelli attinenti a rilevanti anomalie o malformazioni del feto che, sebbene non concretizzatisi in modo da essere strumentalmente o clinicamente accertabili, siano, comunque, idonei a sviluppare una relazione causale con una menomazione fetale.
Il legislatore ha, dunque, posto l’accento sull’esistenza di un “processo patologico” che possa cagionare un grave pericolo per la salute della donna, a prescindere dalla circostanza che l’anomalia o la malformazione si sia già prodotta e risulti strumentalmente o clinicamente accertata.
Deve pertanto ritenersi che l’anomalia o la menomazione non deve necessariamente essersi già concretizzata, ma rileva che il processo patologico possa sviluppare una relazione causale con una menomazione fetale.
In relazione al caso in esame, anche la sola circostanza dell’esistenza di un’infezione materna da citomegalovirus può rilevare al fine di apprezzare l’idoneità di tale processo patologico a determinare nella gestante – compiutamente edotta dei possibili sviluppi – il pericolo di un grave pregiudizio psichico, in considerazione dei potenziali esiti menomanti.
Si riconosce rilevanza anche alle situazioni in cui la patologia, ancorchè non ancora esitata in menomazione fetale accertata, risulti comunque tale da poter determinare nella donna – che sia stata informata dei rischi per il feto – un grave pericolo per la sua salute psichica.
Deve, pertanto, ritenersi che un tale pericolo – da accertarsi, in ogni caso, in concreto – possa determinarsi non solo nella gestante che abbia contezza dell’esistenza di gravi malformazioni fetali, ma anche in quella che sappia di aver contratto una patologia atta a produrre, con apprezzabile grado di probabilità, anomalie o malformazioni del feto.
Ciò comporta, sotto il profilo dell’obbligo informativo, che il medico al quale la gestante si sia rivolta per conoscere i rischi correlati ad un processo patologico, debba informare la stessa della natura della malattia e delle sue eventuali potenzialità lesive del feto, onde prospettarle un quadro completo della situazione attuale e dei suoi possibili sviluppi.
Dal che consegue che, l’omissione di un’informazione corretta e completa sulla pericolosità del processo patologico non consente alla gestante di acquisire elementi che – se conosciuti – potrebbero determinare nella stessa la situazione di pericolo per la salute psichica che potrebbe giustificarne la scelta abortiva.
Sotto il profilo risarcitorio, dunque, il medico che non informi correttamente e compiutamente la gestante dei rischi di malformazioni fetali correlate a una patologia dalla medesima contratta, è responsabile per i danni conseguiti alla mancata interruzione della gravidanza cui la donna dimostri che sarebbe ricorsa.
Per poter essere risarcita, la donna deve provare in giudizio che, se avesse conosciuto i rischi di malformazioni fetali, avrebbe fatto ricorso all’interruzione della gravidanza a fronte di un pregiudizio grave per la sua salute psichica o fisica.
Dunque, alla madre va riconosciuto il diritto ad essere risarcita, poiché, a causa dell’omessa informazione da parte del medico, non è stata posta in condizioni di effettuare la scelta abortiva consentita dalla legge.
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